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Draghi e il Mezzogiorno

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Il Presidente del Consiglio Mario Draghi nel suo discorso programmatico ha dato spazio e rilevanza al tema del Mezzogiorno. Anche su questo tema, come nel resto del discorso, il Presidente è stato sintetico ed efficace, è andato subito dritto al punto e agli obiettivi, tralasciando premesse e numeri che ormai tanti di noi conoscono (o almeno dovrebbero). Aumento dell’occupazione, in particolare quella femminile, legalità e sicurezza sono stati i punti principali citati dal Presidente. Ma anche capacità di attrarre investimenti privati nazionali e internazionali i quali sono essenziali per generare occupazione e reddito. Tutto questo deve racchiudersi all’interno di un quadro di legalità e sicurezza permanente. Le amministrazioni pubbliche devono riuscire “a spendere e spendere bene” le risorse europee derivanti dal Next Generation EU, superando inerzie e incapacità pregresse. C’è chi è rimasto un po’ deluso dalla trattazione sintetica del Presidente del Consiglio.  Tuttavia il tema del

Recovery Plan: cosa c'è e cosa manca nella nuova bozza italiana

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Il 12 gennaio il Governo italiano ha approvato in Consiglio dei ministri la bozza del Piano nazionale di rilancio e resilienza. La bozza è decisamente migliorata rispetto alla prima bozza circolata a dicembre dello scorso anno. È stato eliminato ogni riferimento alla governance, si tratta di un passo avanti importante, anche perché quanto previsto nella precedente bozza non era funzionale ed usurpava i ministeri del loro potere e della loro attività. In ogni caso una governance ci dovrà essere. Che tipo di governance ci sarà ancora non è dato saperlo. Gli altri Paesi l’hanno già prevista, noi ancora no. Il piano approvato il 12 gennaio inoltre prevede un’integrazione e un coordinamento del PNRR con le risorse per le politiche di coesione europee e nazionali in corso di programmazione in modo da massimizzare e migliorare l’allocazione delle risorse europee nel loro insieme. Questo è punto importante perché è bene ribadire che il Recovery Fund non può finanziare interventi o progetti c

Dalla Cassa per il Mezzogiorno al Recovery Fund, il Mezzogiorno al centro

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Il Recovery Fund rappresenta un’opportunità e un’occasione da non perdere per  l’Italia, ma soprattutto per il Mezzogiorno. Come negli anni ’50 il destino e il futuro del Mezzogiorno e dell’Italia è strettamente legato all’Europa (e all’Occidente). All’indomani del secondo conflitto mondiale l’Italia era un Paese distrutto e povero.  Un Paese a forte vocazione agricola, quasi il 70% della produzione nazionale era riconducibile all’agricoltura. Ma, gli aiuti del Piano Marshall, il saper fare italiano e una classe dirigente che aveva idee e progetti ben saldi e chiari gettarono le basi per lo sviluppo e l’ammodernamento dell’Italia. Restava un problema annoso, quello della questione meridionale. Un problema che non era mai stato affrontato in chiave unitaria né durante il periodo liberale, né durante il fascismo. Così nel 1950, sul modello della Tennessee Valley Authority creata nel lontano 1933 in America da Roosevelt, venne istituita la Cassa per il Mezzogiorno. L’idea fu dell’allora P

Piano e governance, cosa non torna nella proposta italiana

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Il Next Generation EU (Recovery Fund) è stata una grande conquista e un importante passo in avanti compiuto, nel pieno della pandemia, dalle istituzioni europee e dagli Stati membri.  E’ stata la risposta europea alla crisi generata dall’emergenza Covid-19. L’accordo siglato a Bruxelles il 21 luglio, dopo lunghe ed estenuanti trattative, prevede un fondo di 750 miliardi di euro divisi tra 390 miliardi di sussidi (grants) e 360 miliardi di prestiti (loans).  All’Italia vengono destinati 209 miliardi di euro, di questi 81,4 mld € sotto forma di sussidi e 127,6 mld € sotto forma di prestiti, pari al 28% dei fondi previsti a livello europeo. Il Next Generation EU (Recovery Fund) è collegato al Bilancio pluriennale dell’Unione Europea (2021 -2027). I 750 miliardi saranno raccolti sui mercati finanziari. Per la prima volta esisterà un debito comune europeo, una cosa impensabile meno di un anno fa. Secondo quanto prevede l’accordo ogni Piano nazionale dovrà “ essere coerente con le r

I 50 anni dello Statuto dei lavoratori e il riformismo di Giugni

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20 maggio 1970, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale lo Statuto dei Lavoratori diventa legge dello Stato a tutti gli effetti. L’approvazione dello Statuto rappresenta il sigillo finale di decenni di lotte e rivendicazioni per i diritti, le libertà e la dignità dei lavoratori. Con lo Statuto dei lavoratori “ la Costituzione entra nelle fabbriche ” mettendo in soffitta il diritto (del lavoro) corporativo fascista. La proposta di uno Statuto parte da lontano, nel 1952 fu Giuseppe Di Vittorio, allora segretario generale della CGIL, a lanciare la proposta di uno Statuto dei diritti dei cittadini lavoratori. La proposta fu ripresa nel 1963 da Aldo Moro durante il suo discorso alle Camere per ottenere la fiducia al primo Governo di centro-sinistra, ma anche quella volta rimase soltanto una proposta. Il progetto ritornò centrale soltanto con le agitazioni degli operai, dei contadini, e anche con le prime manifestazioni studentesche del ’68. Il padre politico dello Statuto è sta

Quando un dibattito sulla "fase della ricostruzione"?

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Il 4 maggio in Italia prende il via la c.d “ Fase 2 ”. Milioni di lavoratori tornano a lavoro, migliaia di aziende riapriranno i propri stabilimenti. Per i cittadini cambia poco dato che c’è stato soltanto un leggero allentamento delle misure. Così come non cambierà nulla per milioni di studenti che continueranno a svolgere la loro attività scolastiche ed universitarie a distanza. Al netto delle polemiche che hanno affollato i giornali e i social in questi ultimi giorni sulle modalità e i tempi di riapertura, la c.d “ Fase 2 ” sarà una fase nuova e inedita per tutti gli italiani, perché è l’inizio della convivenza col virus. Ahinoi, non è un ritorno al tempo di prima o alla normalità. Tutti gli italiani saranno chiamati a rivedere una serie di abitudini, ad adeguarsi a nuove regole e nuovi comportamenti. La politica, in questi mesi così difficili e duri, ha cercato di approvare una serie di misure per far fronte all’emergenza sanitaria che presto è diventata un’emergenza sociale ed

In Europa l'Italia vota contro l'Italia

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Quanto successo in questi giorni all’interno del Parlamento Europeo (riunito in videoconferenza) per quel che riguarda il nostro Paese è a dir poco surreale. L’Italia è stato il primo Paese europeo ad essere colpito dal coronavirus ed oggi insieme a Spagna e Francia in Europa è uno dei Paesi più in difficoltà. Sin da subito il nostro Paese ha chiesto un maggiore protagonismo alle istituzioni europee in modo da poter fronteggiare una crisi sanitaria, ma anche una crisi economico e sociale senza precedenti. L’Europa, dopo un’iniziale traccheggiamento, con l’aggravarsi dell’emergenza e il diffondersi del virus è intervenuta a sostegno degli Stati membri con una serie di misure, alcune del tutto nuove ed eccezionali. Provo a ricordare le più significative: la BCE ha programmato una campagna di acquisto di titoli di Stato fino a 900 miliardi di euro; la Commissione europea ha sospeso il Patto di stabilità e crescita (ergo si può sforare il tetto del 3% di deficit); ha ammorbidito le